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L’impronta ecologica digitale dell’intelligenza artificiale generativa

L’impronta ecologica digitale dell’intelligenza artificiale generativa

| On 27, Dic 2023

L’impatto ambientale delle attività di creazione di immagini attraverso l’intelligenza artificiale generativa.

di Francesco Spaghi


Picture: image via: Adobe Stock.


Nell’ultimo mese si percepisce una sorta di sovraeccitazione nel settore della creazione di immagini digitali: tra l’ultima versione di Chat GPT, l’ascesa di DALL-E-3, la nuovissima release del sito Midjourney e l’ingresso in campo di Google Bard, sono sempre più i player che generano contenuti visivi che ogni giorno assolvono milioni di richieste, elaborando prompt studiati dagli utenti, sempre più orientati ad una specificità di risultato.

Tralasciando il tema relativo alla disinformazione e il discorso etico che fa riferimento all’originalità del prodotto finale, nonché i processi di addestramento di tali software, che molto spesso andando a scandagliare dati protetti da copyright si avventurano in territori legalmente pericolosi, oggi vogliamo soffermarci sull’impatto che queste attività di generazione di immagini hanno sull’ambiente.

Lo spunto riflessivo ce lo offre un team di ricercatori della community open source dedicata all’AI Hugging Face e della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in Pennsylvania, che ha cercato di mettere nero su bianco delle stime attendibili relative all’impronta carbonica delle attività legate all’AI.

I ricercatori hanno inoltre esaminato un totale di 13 compiti, che vanno dal riepilogo alla classificazione del testo, e hanno misurato la quantità di anidride carbonica prodotta per ogni 1000 grammi. Per mantenere lo studio imparziale e diversificare i set di dati, i ricercatori hanno affermato di aver eseguito gli esperimenti su 88 modelli diversi utilizzando 30 set di dati. Per ogni attività, i ricercatori hanno eseguito 1.000 richieste raccogliendo il “codice del carbonio” per misurare sia l’energia consumata che il carbonio emesso durante uno scambio.

I risultati evidenziano che i compiti ad alta intensità energetica sono quelli che richiedono a un modello di intelligenza artificiale di generare nuovi contenuti, che si tratti di generazione di testo, riepilogo, didascalia di immagini o generazione di immagini. La generazione di immagini si è classificata al primo posto in termini di quantità di emissioni prodotte e la classificazione del testo è stata classificata come l’attività meno dispendiosa in termini energetici.

Il risultato è inquietante poiché emerge che ogni singolo contenuto richiesto alle piattaforme specializzate equivale in termini energetici ad una ricarica completa del proprio smartphone. Nello studio poi si evince che se si considera un cluster di 1000 richieste la risultante è un numero che oscilla tra i 100 e i 500 grammi di CO2. Se ad una prima vista il dato appare piccolo, è sufficiente invece considerare ad esempio che ogni passeggero durante un volo produce in media 285 grammi di CO2 per ogni chilometro percorso.

Forse questi dati non sorprenderanno più di tanto gli esperti del settore, anche perché la MIT Technology Review aveva già accertato che addestrare un singolo modello di AI può “pesare” anche più di 284 tonnellate di CO2. Così come impiega alti livelli di energia la fase di output legata a tali software, basti pensare che solo Chat GPT viene interrogata quotidianamente da più di 100 milioni di persone, registrando circa 100 milioni di utenti attivi ogni mese.

In un contesto di assenza di dati relativi ai consumi sarebbe il caso di orientare questi big player ad avere un atteggiamento più etico e trasparente per capire loro e noi utenti quali possono essere in realtà le conseguenze derivanti dall’utilizzo di determinati modelli di intelligenza artificiale generativa.

– via: engadget.com


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