Inside BLOOP - Intervista a Matteo Amadio, fondatore di BLOOP Festival
Redazione Art-Vibes | On 06, Ott 2024
Alla ricerca di libertà, integrazione, creatività e senso di comunità: le traiettorie dell’arte urbana ad Ibiza e non solo, tra passato, presente e futuro.
di Redazione Art Vibes
Picture: AMADAMA – VIP IS A LOSER CONCEPT, Pike, Ibiza. Photo credit: Biokip.
Sono passati quasi 15 anni da quando nel lontano 2011 una visione alternativa e rivoluzionaria di Ibiza ha aperto la strada a un festival di arte urbana che edizione dopo edizione non ha mai smesso di meravigliare e meravigliarsi.
Ovviamente stiamo parlando di BLOOP, il Festival Internazionale d’Arte Proattiva che sotto la guida della factory milanese Biokip Labs è riuscito nell’intento di rivoluzionare il panorama culturale dell’isola, offrendo a residenti e turisti l’opportunità di interagire con l’arte urbana in modo unico, innovativo ed inclusivo.
Negli anni abbiamo avuto modo di raccontare l’evoluzione della rassegna, che con il passare del tempo, e nonostante gli interpreti più svariati, è riuscita a mantenere fede a quell’ethos dichiarato in partenza “l’arte è di tutti”, un mantra che contraddistingue da sempre il festival e che ne circoscrive la forte identità.
Oggi abbiamo avuto il piacere di parlare con Matteo Amadio, mente di Biokip Labs, fondatore di BLOOP: ne è scaturita una schietta e sincera chiacchierata che tocca tanti temi controversi che abbracciano trasversalmente il mondo dell’arte urbana, una prospettiva che merita attenzione perché gli spunti innescati sono davvero molteplici.
Buona lettura!
Intervista a Matteo Amadio
Ci racconti come è cambiata la scena dell’arte urbana a Ibiza nel corso di questi anni e come si è evoluta la percezione dei visitatori nei confronti di questa pratica artistica tesa alla significazione dello spazio pubblico?
È difficile rispondere a questa domanda senza rischiare di essere drastici. Mi sono innamorato di Ibiza al primo sguardo.
Ibiza era un paradiso, un luogo inclusivo e tollerante, dove la bellezza si fondeva con la libertà di essere ciò che si voleva. Era un posto in cui non esistevano differenze tra ricchi e poveri; c’era solo la voglia di stare bene, divertirsi e stare insieme, magari facendo festa.
Tutto questo poi era supportato da un importante locale storico dell’isola, lo Space, che rappresentava tutti questi valori, associati all’avanguardia e alla ricerca musicale. Penso che con la chiusura di Space anche molti aspetti (di vario tipo) ne abbiano risentito.
A proposito, proprio lì abbiamo realizzato una bellissima collaborazione per vari anni con l’organizzazione di We Love, gli incredibili Mark e Sarah. Gestivano le loro serate allo Space come se fossero festival; ogni domenica trovavi artisti interessantissimi.
C’erano molte sale e ognuna aveva una programmazione sempre ricercata e d’avanguardia. Con loro abbiamo collaborato in feste col marchio WE LOVE BLOOP alle quali hanno partecipato moltissimi artisti tra cui, per esempio, Fatboy Slim o i Chemical Brothers… loro avevano un approccio magico alla musica, basta pensare che sono riusciti a portare a Ibiza Aphex Twin, per intenderci.
Pineapple Crocodile feat. Montse Nadal, BLOOP Festival, Ibiza. photo credit: Biokip
Questa era l’Ibiza in cui abbiamo cominciato: un luogo pieno di contraddizioni ma divertente e puro. Dicono che a Ibiza non ci fossero animali velenosi…
Ma oltre alle feste e alla vita notturna, c’era (e c’è ancora) molto di più: le spiagge incontaminate, le acque cristalline, i tramonti che ti fanno sentire in un altro mondo. La natura di Ibiza ha sempre avuto un’energia speciale, per non parlare dell’aspetto mistico.
Mi sto dilungando… Per caso, ma davvero per caso, avendo aperto nel 2004 la Biokip Gallery (forse una delle prime gallerie di arte urbana, che era anche DJ e spray shop), abbiamo deciso di fare un evento a Ibiza e nello specifico a Sant’Antonio, un posto sicuramente complesso e molto interessante dal punto di vista antropologico.
All’epoca (ma probabilmente anche ora) c’erano ubriachi buttati a terra e avvolti nel proprio vomito, prostitute che avvicinavano gli ubriachi accarezzandoli, portandoli sotto un faro per fare sesso e, mentre gli sprovveduti si rivestivano, venivano derubati del loro portafoglio.
E questo magari mentre passavano famiglie che coprivano gli occhi ai figli, per intenderci. A terra trovavi persone in overdose o che dormivano, possibilmente anche qualcuno che era stato picchiato nelle risse tra hooligan.
Nonostante tutto vedevamo del potenziale in questo contesto e ci sembrava che le persone potessero apprezzare la nostra idea. Sant’Antonio ci piaceva per qualche motivo e ci piaceva anche il feedback dei residenti che apprezzavano quello che stavamo per cominciare a fare.
AMADAMA at Bloop Festival, APP 2024, Ibiza Port
Eventi come il Bloop erano inimmaginabili a Ibiza… Sicuramente all’inizio (nell’isola) nessuna amministrazione ha creduto in noi, a parte proprio Sant’Antonio che è stato l’unico Comune che a quell’epoca non ci ha riso in faccia quando gli abbiamo detto che volevamo fare un festival di arte e, anzi, ci ha anche dato degli spazi per farlo.
Ecco, questo il contesto in cui è cominciato il BLOOP, nel 2011. [Nel tempo, poi, abbiamo lavorato con tanti comuni e istituzioni e, tra gli altri, ora siamo orgogliosamente partner di Ibiza.]
Abbiamo realizzato una bellissima mostra in un faro e il nostro primo grande murale, quello degli Interesni Kazki (quando ancora erano un duo). Tutto questo con centinaia di euro di finanziamento pubblico (non ricordo se la prima edizione ci abbia dato 800 o 1500 euro per tutto il festival) e tantissima voglia; ci piaceva proprio quello che facevamo. Pazzesco…
Phlegm & AEC Interesni Kazki. Photo credit: Marc Colomines
Con quel grande murale abbiamo visto che la gente non fotografava più solo gli ubriachi per terra ma cominciava a fotografare il muro. Quel movimento di 90 gradi verso l’alto del braccio cambiava la prospettiva e di conseguenza la percezione.
I festival di street art quasi non esistevano (se non cose fighissime come all’epoca era il Fame di Grottaglie, per esempio), e la sensazione di apportare qualcosa di bello e divertente in un luogo, dove i cittadini ci avevano apprezzato, era bellissima. Eravamo diventati parte della comunità (fino a quando un politico non ha deciso di censurare una nostra opera e quindi lo abbiamo cortesemente mandato a quel paese, si può dire?).
Muro dopo muro, anno dopo anno, mostra dopo mostra, il marchio è cresciuto e il prossimo anno festeggiamo 15 anni in un’isola diversa da quella che abbiamo trovato.
Ora è un’isola dove c’è business, a mio parere troppo business; ho la percezione che si stia vendendo più del dovuto alle corporazioni, nonostante qualcuno voglia o provi a resistere.
È un momento strano questo in cui la gente non riesce a pagare un appartamento e quindi molte persone di talento hanno abbandonato l’isola, persone che tutto sommato rendevano Ibiza un posto magico, non quelli che si possono permettere tavoli da 10.000 euro ma che invece si divertivano in feste con musica e bonghi la notte sulle spiagge (non credo avessero permessi!), per intenderci.
Isaac Cordal – Multiverse, Bloop festival, Ibiza
Ora, da quello che vedo e giunti ormai al 15° anno di evento (dove in tutti questi anni abbiamo portato forse i più importanti artisti di urban art e non solo), percepisco che Ibiza è un’isola che attrae gente soprattutto interessata al business, anche dell’arte… eventi da poco nati magari convinti di aver importato l’arte a Ibiza (non valutando che questo luogo ha l’arte nel suo DNA almeno dagli anni ’60) e senza rendersi conto che i collezionisti non fanno l’arte ma il suo mercato (con un mood lontanissimo dal nostro), cosa dalla quale abbiamo deciso di tenerci sempre alla larga.
Prima era difficile vedere vecchi di 70 anni con ragazze (modelle) ventenni bere champagne con bicchieri di cristallo su spiagge pubbliche (vi immaginate questo settantenne che mezzo ubriaco fa il sorrisino alla sua escort che lo accompagna mentre con un bicchiere di cristallo beve champagne da 10.000 euro sulla spiaggia?).
Non è più l’Ibiza di cui ci siamo innamorati; è sempre Ibiza ma è diversa da quella che abbiamo conosciuto… mi auguro non incompatibile con i nostri valori, quelli di un festival per tutti, dove in 15 anni nessuno ha mai pagato un solo centesimo per partecipare ai nostri eventi. Vediamo se riusciamo a resistere… per noi, comunque, (come descritto anche da un’opera di Amadama al Pikes) V.I.P. IS A LOSER CONCEPT
AMADAMA – VIP IS A LOSER CONCEPT, Pike, Ibiza. Photo credit: Biokip
Comunque… ritengo che l’impegno del BLOOP Festival nel mantenere un festival gratuito e aperto al pubblico, in un contesto in cui prevale il profitto e che ha trasformato alcuni aspetti dell’isola, continui ad essere uno dei punti di eccellenza del festival. Ci impegniamo con la speranza che i valori originali dell’isola: libertà, integrazione, creatività e comunità, tornino a essere gli aspetti principali di Ibiza per il resto del mondo.
Ci auguriamo di offrire il nostro festival a tutti per tanti altri anni. È bello pensare che la gente possa girare gratuitamente da un luogo all’altro scoprendo le nostre opere, che anno dopo anno si sommano (realizzate da centinaia di artisti, di tutti i tipi, alcuni importanti altri meno, ma tutti parte della nostra storia in cui sicuramente abbiamo fatto molti errori e abbiamo provato a imparare da essi). Stiamo valutando seriamente di cominciare, in parallelo, anche un progetto in Italia… vediamo…
Il BLOOP Festival ha dimostrato che, con un po’ di sostegno, è possibile cambiare in positivo la vita di quartieri, paesi, comunità e le interazioni che queste hanno con i loro visitatori. Offrire alternative di svago sano e sostenibile rende il festival uno dei garanti di quell’Ibiza che è stata attrazione per la cultura di tutto il mondo.
Quest’anno, infatti, per permettere ai turisti e ai residenti di scoprire il nostro lavoro, abbiamo prodotto un’app dedicata, gamificata e super potente.
Quale può essere l’impatto della tecnologia sull’arte urbana? Raccontaci le potenzialità, le funzionalità dell’applicazione di BLOOP e in che misura l’intelligenza artificiale è stata integrata.
Bene. Dopo tanti anni i linguaggi si evolvono e l’arte urbana non è più quella che ci stimolava 25 anni fa… 25 cominciano a essere tanti… Ho sempre ammirato l’approccio anarchico e indipendente dell’urban art; mi è sempre piaciuto lo spirito che aveva all’inizio: “faccio quello che voglio dove voglio, voglio divertirmi, voglio esprimermi, mi piace abbellire spazi, mi piace comunicare, ci provo“.
Ora invece, ho la sensazione che questo spirito sia svanito, certo il mondo è cambiato. Adesso mi sembra che la maggior parte degli artisti (per fortuna non ancora tutti) utilizzi i muri solo per avere un maggior valore di mercato, mi sembra che molti usino le pareti come se fossero vetrine per permettere poi ai loro galleristi (magari amici dei genitori che gli comprano le opere) di venderli a un valore maggiore (ovviamente con tutta la risonanza mediatica che creano), e questo per me è un po’ triste.
Said Dokins + Silva Ramacci – Mural for Bloop Festival, 2023. Photo credit: Biokip Labs
Ci sono poi le agenzie di comunicazione che usano i muri per fare pubblicità (magari per non pagare neanche le tasse di concessione pubblicitaria) e poi addirittura i Comuni che fanno bandi per valorizzare quartieri e che alla fine, dall’alto, si scordano di chiedere agli artisti di studiare qualcosa che interagisca con la comunità locale, lo trovo pazzesco.
Ovviamente non mi riferisco alle piccole gallerie che promuovono attivamente la scena artistica, bensì alle grandi strutture che cercano di acquistare la propria credibilità.
Il ruolo delle gallerie è fondamentale per il sostentamento di alcuni artisti e, quando operano con integrità, nutro grande rispetto per loro. Tuttavia, qui stiamo discutendo del ruolo dell’arte urbana e dell’importanza di concedere spazio alla creatività autentica piuttosto che alle mere operazioni commerciali.
Il concetto è facile: io abito qua, perché devo vedere tutto il giorno un disegno che tu fai senza apportare nulla alla mia comunità? …oh… magari i disegni li fa qualcuno che neanche è capace di disegnare e gli vengono dati spazi solo perché è ammanicato, magari gallerie che pagano i curatori o gli organizzatori per far dipingere gli artisti (dai, qua finisce la meritocrazia)… una provocazione che detta da me sembra paradossale: dove sta scritto che una parete monocromatica sia meno bella per uno che vive in un palazzo e tutti i giorni deve vedere la parete di fronte a sé rispetto a un disegno-marchetta magari fatto male o che serve solo per promuovere prodotti (mascherato da opera)?
Molti artisti dipingono la stessa cosa ovunque senza pensare al contesto in cui agiscono, e per me questo è un errore, magari per interessi diversi… è il fallimento dello spirito che ammiravo in principio.
Martha Cooper – STREET PLAY, Bloop Festival 2021. Photo credit: Biokip Labs
Ovvio, ripeto e lo faccio perché ho ancora molto da imparare, negli anni abbiamo fatto tanti errori, soprattutto relazionali, ma ci siamo quasi inventati un lavoro e in un contesto davvero delicato dove spesso abbiamo deciso di perdere sponsorizzazioni proprio perché ci avrebbero vincolato sui contenuti.
Non so quanti lo farebbero ora… Abbiamo lavorato gratis (ogni tanto ancora accade) per tanti anni e ringraziamo tutte le persone che ci hanno supportato in questo periodo, davvero, senza di loro nulla sarebbe stato possibile.
Non credo che tanti abbiano compreso bene quello che abbiamo dovuto fare per arrivare ad oggi e dire: “il prossimo anno celebriamo i 15 anni“.
Abbiamo quindi prodotto mostre usando varie tecnologie, collaborando con artisti e realizzando da zero, internamente, progetti interattivi usando i sensori più disparati; abbiamo fatto mostre immersive molto divertenti (soprattutto quando i visitatori erano usciti da un after hour!).
Penso che la tecnologia sia un male necessario per progetti artistici e che se usata bene—e non in modo banale—può essere veramente potente. Come non ricordare il primo show interattivo che avevamo organizzato a una festa allo Space nel 2012 in cui i movimenti del DJ—uno dei fondatori, tra l’altro, del BLOOP, Giacomo animava i visual con i suoi movimenti (la gente ancora ballava invece di riprendere il DJ!)… e come non ricordare l’installazione interattiva in cui Lo Spino, sempre col nostro supporto tecnico e di programmazione, aveva realizzato uno show metareale, forse uno dei primi al mondo).
THE TEMPLE. video courtesy of: @bloopfestival9976
Ecco, la nostra app che abbiamo lanciato per il BLOOP quest’anno è invece il contrario. Essendo io parte di una piccola società indipendente che sviluppa giochi e app (anzi, se servono progetti di questo tipo contattateci!), abbiamo realizzato una cosa che reputo bellissima. Un’app del festival con funzioni molto interessanti, forse la prima nel suo genere, che rispetta il nostro spirito di urban art e allo stesso tempo ne evolve i linguaggi.
L’app è una sorta di Pokémon Go dell’urban art connessa a un album raccoglitore (tra le tante funzioni che offre l’app) collegata alla mappa che ha quattro aree basate sulla AR:
– Murales (la nostra openair.gallery): tramite la fotocamera riconosce i nostri murales e fornisce informazioni come nome dell’artista, anno di realizzazione, tema dell’opera;
– Storia del BLOOP tramite la geolocalizzazione: permette, in base a dove ci si trova, di scoprire quali opere, mostre, concerti o performance (ormai non più esistenti o effimere) sono state realizzate in quel determinato punto (si visualizzano le foto delle opere fatte in passato).
BLOOP App – Ibiza
Phlegm – CONTROL, Bloop Festival, Ibiza. Photo courtesy: artist
– Percorsi con opere (contenuti interattivi) in AR: ci sono percorsi dove si possono scoprire vere e proprie opere in realtà aumentata, sempre collezionabili, che permettono di attivare contenuti multimediali di vario tipo (da video in 3D realizzati dall’artista Amadama, dove è possibile seguire un giradischi e un basso facendo esercizi e copiandoli) fino a spazi che si animano in 3D;
Alla fine, quando raccogli un determinato numero di opere, vinci gratuitamente un NFT realizzato da uno degli artisti che collabora con noi, che regaliamo a tutti quelli che si fanno un bel giro a Ibiza per cercare i nostri lavori. Ovviamente, come sempre, gratuitamente.
La tecnologia è uno degli aspetti fondamentali del nostro festival; siamo sempre stati attenti ai vari linguaggi espressivi.
Non solo BLOOP, come Biokip Labs siete anche i produttori di VANDALEAK. Ci raccontate di più di questo progetto?
A parte le nostre iniziative, realizziamo anche progetti per altri. Per esempio, abbiamo prodotto noi (e ne siamo molto felici) l’app di Montana Colors e abbiamo realizzato un gioco chiamato Vandaleak, un’app mobile-game.
Biokip Labs è una piccola società che si dedica alla creatività in modo puro, nel vero senso della parola, cerchiamo di lavorare il meno possibile con i clienti commerciali a meno che non ci propongano progetti molto belli o supportino le nostre idee creative senza compromessi. Negli anni abbiamo cercato di specializzarci sul colore e infatti proprio il colore è il comune denominatore per tutti i nostri lavori: giochi, app, installazioni interattive, VR, allestimenti, video, eventi, installazioni, sculture…
Vandaleak nasce proprio poco prima della pandemia. Parlavamo con Jordi, il fondatore (qualche anno fa credo abbia venduto le sue quote) di Montana Colors e avevamo l’idea di realizzare un gioco di graffiti, un’app di Montana gamificata, ma dopo molti incontri non è andata proprio così. Alla fine abbiamo realizzato il nostro gioco, Vandaleak, e poi anche la loro app separatamente.
HEllo! my name is VANDALEAK. video courtesy of: @vandaleakofficial3995
Vandaleak è un sistema che riproduce fedelmente quasi tutte le dinamiche del mondo del writing; è un’app anonima, non collezioniamo dati personali, raccogliamo solo informazioni statistiche interne al gioco. Sappiamo cosa accade nell’app ma non sappiamo chi fa cosa, e questa è una scelta importante per rispettare l’anonimato degli utenti che vogliono tutelare la propria privacy. È un aspetto importante a cui molti giochi di writing non hanno dato peso.
In sostanza, tu compri le bombolette, i tappini, gli accessori; le cose finiscono nel tuo magazzino, sposti quello che ti serve per ogni azione nel tuo zaino e poi vai in azione.
Azione significa che hai tre opzioni: disegnare billboard, dipingere una metropolitana di una città del mondo (sono abbastanza ispirate a quelle reali) e fare delle prove sui van.
Appena finisci il tuo lavoro devi fare una fotografia che viene salvata nella galleria del tuo telefono; la foto che ti piace e ti convince puoi spedirla alla redazione che, se la approva, la pubblica sul magazine. Alla fine Vandaleak è anche un media visti i contenuti e soprattutto la quantità di utenti che ha.
Vandaleak infatti è ovviamente anche un magazine pieno di leak. Ci sono news sul mondo dei graffiti, su quello dell’arte urbana e poi ci sono queste fotografie degli utenti.
Il gioco sta andando molto bene; abbiamo superato i 250.000 download e abbiamo sempre, minimo, una trentina di utenti collegati in contemporanea. La comunità sta crescendo sempre e i feedback (a parte quelli che hanno telefoni vecchi di almeno 6 anni o odiano i graffiti) sembrano buoni. Provatela, si scarica gratuitamente dagli store iOS e Android.
È molto lavoro ma ci permette di fare quello che ci piace. Abbiamo anche prodotto del merchandising, ora però è in vendita solo sul sito di Fadebomb, nostri collaboratori che, tra l’altro, producono dei tappini pazzi per le bombolette, dategli un’occhiata!
Secondo la vostra esperienza, quali possono essere le nuove traiettorie dell’arte urbana contaminate con la creatività digitale?
Beh… tutto quello che è espressione e viene offerto gratuitamente in strada è sicuramente degno di attenzione. Molte città nel mondo hanno il loro festival di video mapping o luci, di design o di musica… molte di queste cose sono vere e proprie opere/performance/installazioni di urban art.
È un momento delicato perché l’opinione pubblica viene gestita sostanzialmente dai social media e questo è un rischio perché tantissimi content creator alla fine fanno marchette commerciali e questo (a parte renderli a mio parere poco credibili) comunque condiziona la scelta di molti.
L’arte urbana, per me, ha il dovere di essere pubblica, pop, inclusiva e mi auguro possa avere sempre più protagonisti che si diletteranno nella produzione di opere in strada cercando di rivendicare problemi sociali importanti.
L’urban art è pop, è immediata, per questo deve far riflettere. Questo almeno è quello che proviamo a fare e in cui crediamo. L’arte, alla fine, non può essere solo mercato e deve essere una forma di espressione; ognuno si esprime come vuole e oggi ci sono le tecnologie per fare molto. Penso che alcuni degli artisti più bravi che ho conosciuto neanche vendano le proprie opere (magari vivono di altro).
Per me, certo, la cosa importante è cercare di avere un approccio etico altrimenti si rischia di diventare uno strumento a disposizione delle corporazioni o grosse agenzie che usano la strada solo per promuovere prodotti commerciali, togliendo poesia all’arte e convertendola in un esercizio di stile, spesso anche di basso livello.
BLOOP FESTIVAL MEXICO RECAP. video courtesy of: @inimaginablestudio1968
Mi auguro che il futuro dell’urban art sia vedere sempre meno artisti promossi da gallerie con grossi budget o interventi pubblicitari travestiti da opere d’arte e invece vedere ragazzi che ci provano, che sbagliano, che si impegnano, che sognano, che grazie ai propri errori imparano ma che vogliono fare qualcosa di buono: dare un senso alla strada in quanto tale. Per questo motivo mi sono reso conto di apprezzare molto più l’etica di chi fa graffiti rispetto alla street art (nonostante io stesso ne faccia parte).
Ci sono migliaia di modi per produrre opere di urban art (dai mapping alla land art, dai murales alle sculture sonore…), spero che i giovanissimi si sforzino di trovare molti altri linguaggi che terranno acceso l’interesse nello scovare gli angoli nascosti delle strade, che possano continuare a incentivare i curiosi nel prestare attenzione ai dettagli…
Ci avete accennato che state lavorando a un super programma per la prossima edizione di BLOOP. Ci date qualche anticipazione?
Il prossimo anno compiremo 15 anni. Stiamo valutando come strutturare questa edizione che per noi sarà molto importante (la diciassettesima, in verità, considerando quella in Messico e quella a Milano).
AMA wall for the BLOOP EXPERIENCE by Said Dokins, Biokip Atelier and the people of Via del Turchino. video courtesy of: @bloopfestival9976
Approfitto di questa intervista anche per fare una call: nella prossima edizione voglio raccontare i primi 15 anni del BLOOP (coinvolgendo molti degli artisti che sono passati) ma… attenzione… se ci sono 2 artisti che dimostrano un’importante creatività e talento ma soprattutto di aver seguito un percorso affine a quello che ho detto prima (non gli arrampicatori sociali per intenderci) saremo lieti di considerarli e capire se ci sono modi per coinvolgerli.
Davvero, se qualcuno ha belle idee e apprezza un po’ il nostro approccio, perché no! Valutiamo tutto. Non pensate che coinvolgiamo solo artisti famosi (anche se, per assurdo, spesso sono i più umili…). Quest’anno abbiamo lavorato prevalentemente sull’app proprio per avere tempo di concentrarci sulla prossima edizione del BLOOP.
Grazie intanto per l’intervista, siete molto carini.
– website: bloop-festival.com – biokiplabs.com – Instagram: instagram.com/bloopfestival
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Great interview, I was curious about the Ibiza BLOOP Festival, but I see that there’s a lot more behind, congratulations.
I love “Sant’Antonio, un posto sicuramente complesso e molto interessante dal punto di vista antropologico.”
Thanks
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