Sotheby’s e il paradosso del robot umanoide che produce arte
Francesco S. | On 30, Ott 2024
La deriva del mercato dell’arte contemporanea: per la prima volta all’asta un dipinto realizzato da un robot umanoide, dalle quotazioni monstre.
di Francesco Spaghi
Picture: Ai-Da Robot (Aidan Meller), “A.I. God. Portrait of Alan Turing” (detail), 2024. Courtesy of Sotheby’s.
In un’epoca liquida ed iperveloce dove le mirabilie tecnologiche dominano i guizzi artistici, non sorprende l’attenzione che gran parte del mondo dell’arte abbia dedicato nei giorni scorsi alla notizia della messa all’asta per la prima volta di un’opera realizzata da un robot umanoide guidato dall’intelligenza artificiale.
Precisiamo che non ne stiamo scrivendo per ampliare la cassa di risonanza di questa bizzarra trovata ma siamo qui per rimarcare il no sense di questa pratica.
Inquadriamo prima il fatto: succede che il 31 ottobre 2024 Sotheby’s mette all’asta l’opera intitolata A.I. God. Portrait of Alan Turing (2024), un ritratto del matematico e informatico Alan Turing realizzata da un robot umanoide supportato da AI, lavoro che ha guidato la Digital Art Day Auction di New York.
La presunta “artista” prende il nome di Ai-Da, ha le sembianze di una donna, indossa un caschetto nero, veste abiti casual e disegna e dipinge attraverso una combinazione di telecamere posizionate negli occhi, algoritmi di intelligenza artificiale e un braccio robotico, così come il suo creatore, il mercante d’arte e gallerista britannico Aidan Meller, aveva prestabilito.
Lo stesso Meller ha ordinato al robot di eseguire il ritratto del matematico Alan Turing attraverso una tecnica mista su tela che Sotheby’s proporrà in asta alla modica stima di 120-180 mila dollari.
La novità rispetto alle esecuzioni precedenti di altre AI risiede nella presenza fisica dell’umanoide che manifestandosi fisicamente sembra che conferisca maggiore veridicità e artisticità alla performance e al risultato finale.
Ora, che l’arte contemporanea manchi di coraggio e che si perda facilmente in derive fumose è una questione che dibattiamo da un pò di tempo, mancano spunti e in molti casi gli artisti sembrano sguazzare staticamente in stagni pieni di cliché vuoti.
Cavalcare l’hype dell’intelligenza artificiale come topic decantando l’epica cooperazione tra uomo e macchina per generare arte suona come un’operazione fallimentare di storytelling per cercare di dare lustro alla collezione del mercante di turno.
Allo stesso modo assume pure i contorni del grottesco ostinarsi a celebrare in ambito artistico le nuove frontiere tecnologiche che dovrebbero farsi portavoce di una riflessione esistenziale sul futuro delle traiettorie creative.
Purtroppo, a giudicare dalle dichiarazioni di Michael Bouhanna (vice-presidente di Sothebys), pare che tale strategia funzioni in quell’universo elitario, visto che ha affermato: “L’entusiasmo e l’interesse dei collezionisti, uniti all’importanza dell’opera all’interno dello spazio dell’arte dell’intelligenza artificiale, hanno influenzato direttamente la mia decisione di posizionare la stima pre-vendita ad un livello che riflettesse la sua desiderabilità prevista e il potenziale di mercato”.
Frasi che non lasciano spazio a troppe interpretazioni: pare difatti che il collezionismo sia più che pronto ad acquistare e a possedere questo tipo di prodotto, e proprio di prodotto non si può che parlare.
E allora non resta che attendere l’avanzata inesorabile di questa pletora di pseudo robot creativi, pronti a sfoderare le loro abilità tecniche e algoritmiche, ammaestrati come pecore da mercanti che non faranno altro che gonfiare le valutazioni di questi lavoretti, spingendo per la loro esposizione presso altisonanti sedi, solamente per giustificare le loro astronomiche quotazioni.
Nell’attesa di questo scempio mi tornano in mente le tesi di Dino Formaggio, tra i più autorevoli studiosi del fenomeno della contemporaneità, che sosteneva che “con il termine arte non possiamo intendere soltanto un’opera, una cosa; arte è processo, è il lavoro di una persona in carne e anima nel momento in cui si realizza nel suo lavoro che nasce e diviene e attraverso esso si scopre e si svela…”
E ancora ripenso alle parole di Edgar Morin, illustre filosofo e sociologo francese, che si era interrogato sul ruolo dell’artista affermando che: “Un artista è tale anche quando non ha le sue opere in mostra, o quando non opera nel suo atelier. Arte sono anche il suo pensiero, le sue emozioni, il suo modo di guardare il mondo: tutte cose che gli permettono, poi, di produrre le opere che possiamo condividere con lui.”
Sulla scia di queste considerazioni risulta difficile poter trovare anche solo un brandello di carne o un frammento di anima in un robot agghindato da artista, non resta che rimanere aggrappati al concetto più puro di arte, scevro da logiche utilitaristiche di mercato, in grado di riflettere l’artisticità della pratica di chi la esercita con cuore ed emozione.
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