Jimmie Durham: humanity is not a completed project
Redazione Art-Vibes | On 26, Gen 2023
Al Museo Made di Napoli la prima retrospettiva in Italia sull’arte di Jimmie Durham: una decodifica critica delle immagini e dei simboli naturalizzati che sono alla base dei sistemi culturali dominanti.
di Redazione Art Vibes
Picture: Jimmie Durham: humanity is not a completed project, installation view, Museo Madre, Napoli.
Ad un anno dalla scomparsa di Jimmie Durham (1940– 2021), la Campania rende omaggio all’artista con la prima retrospettiva mai realizzata in Italia: il Madre, museo d’arte contemporanea della Regione, presenta Jimmie Durham: humanity is not a completed project, a cura di Kathryn Weir, che raccoglie oltre 150 opere in un percorso che intende analizzare l’importanza del corpus dell’artista e restituire i nodi cruciali di una carriera che si svolge attraverso definite linea di ricerca.
In mostra sono presenti lavori iconici, ricostruzioni di importanti mostre e installazioni, alcuni in collaborazione con l’artista Maria Thereza Alves, e delle opere inedite, come ad esempio Night Hawk, del 1954, God’s own drunks, 1974, oltre alla poesia Now, realizzata in occasione della call to action promossa dal museo Madre nel 2020 durante il primo confinamento per la pandemia in Italia.
Jimmie Durham: humanity is not a completed project si articola non solo nelle sale del terzo piano del Madre: la voce di Durham risuona nelle scale, mentre alcune opere sono installate al secondo piano e al piano terra, tra cui Presepio (2016), che accoglie i visitatori negli spazi della biglietteria. Sempre al piano terra, è stato allestito uno spazio di approfondimento in cui sono presenti alcuni lavori dell’artista.
Jimmie Durham: humanity is not a completed project, installation view, Museo Madre, Napoli
Nell’ambito di Progetto XXI, tra le azioni della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, è stata realizzata in collaborazione con Fondazione Morra Greco la mostra Jimmie Durham: And Now, So Far In The Future That No One Will Recognize Any Of My Jokes,, a cura di Salvatore Lacagnina. Una narrazione obliqua del lavoro artistico, del pensiero e dell’attivismo politico di Durham, delle sue letture, delle sue attitudini, delle sue posizioni, che comprende sculture – dalla Collezione della Fondazione Morra Greco – scritti, oggetti, grafiche, fotografie, libri, video, documenti.
Le opere di Durham sono state presentate a Documenta (1992, 2012, 2022), alla Biennale di Whitney (1993, 2003, 2014), alla Biennale di Venezia (1999, 2001, 2003, 2005, 2013, 2019), dove nel 2019 ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera.
Visitando regolarmente Roma dal 2007, ha tenuto presentazioni personali e indagini in istituzioni italiane come il MAXXI, il MACRO e la Fondazione Querini Stampalia. Dal 2012 Durham ha iniziato a trascorrere più tempo a Napoli, città in cui ha sviluppato forti relazioni e presentato diversi progetti importanti in collaborazione con la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee / museo Madre e la Fondazione Morra Greco, tra cui “Jimmie Durham” (2008), presso la Chiesa Donnaregina Vecchia, e “Wood, stone and friends” (2012-2013) a Palazzo Reale, nell’ambito del programma della Fondazione Donnaregina Progetto XXI. Nel 2017 il museo Madre ha conferito a Jimmie Durham il “Matronato alla carriera“.
Jimmie Durham: humanity is not a completed project, installation view, Museo Madre, Napoli
Artista, poeta, performer, saggista e attivista, Jimmie Durham (1940-2021) è una figura unica nella storia dell’arte internazionale dell’ultimo mezzo secolo. Il suo lavoro affronta i fondamenti della cultura europea e nordamericana, decostruendo idee e categorie consolidate. Questa prima mostra retrospettiva in Italia presenta oltre 150 opere, alcune delle quali mai esposte.
Crea collegamenti tra periodi temporali all’interno di sequenze tematiche, combinando elementi cronologici con un approccio narrativo, includendo riferimenti a mostre storiche che racchiudono gli esperimenti da lui condotti sulle strategie spaziali.
Nel corso di una carriera di oltre cinquant’anni, Durham ha dedicato la sua pratica alla decodifica critica delle immagini e dei simboli naturalizzati che sono alla base dei sistemi culturali dominanti. Le sue opere, caratterizzate da una forte vena umoristica, spaziano tra sculture, video, poesie, performance, installazioni, dipinti, disegni, collage, stampe e saggi.
Costruendo “combinazioni illegali con oggetti rifiutati”, attraverso materiali naturali e industriali, Durham ha generato rotture all’interno delle convenzioni del linguaggio e della conoscenza. Jimmie Durham: Humanity is not a completed project è un omaggio a un artista il cui lavoro proteiforme e stratificato è fondamentale per la comprensione dell’arte contemporanea e dei suoi possibili futuri scenari. Il titolo, tratto da una stampa di Durham, sottolinea il suo progetto di relativizzare, come culturalmente specifiche, le nozioni universalizzanti e teleologiche dell’essere umano, caratteristiche della modernità europea.
Jimmie Durham: humanity is not a completed project, installation view, Museo Madre, Napoli
Un prologo alla mostra gravita attorno alla grande opera scultorea di Durham, Gilgamesh (1993), e a uno dei suoi ultimi lavori, Tree (2021). L’epopea di Gilgameš occupa un posto importante nell’indagine dell’artista sulla nozione di una separazione originaria tra cultura e natura: “È la storia della prima città, Uruk, e della prima scrittura. Il principe Gilgameš abbatté la foresta, costruì un muro e ciò che c’era dentro era la città. Poi iniziò a raccontare questa storia per iscritto provando che si trattava effettivamente di una città. Ha creato una verità: ha inventato una città e una verità allo stesso tempo”.
L’antica storia della nascita della città, con la contestuale distruzione della foresta, diventa una parabola delle origini della civiltà. La narrazione è stata decodificata da iscrizioni in una tavoletta d’argilla.
Nel Gilgamesh di Durham, la fondazione di Uruk e la creazione di un muro che separa l’umanità dal resto della natura sono legate all’atto violento di conficcare un’ascia di metallo in una gigantesca porta di legno. La violenza insita in molte tecnologie legate a un’idea dell’arco di avanzamento della civiltà umana è sottolineata in A blessure par balle (2007), che traccia una mappa della penetrazione dei proiettili della Seconda Guerra Mondiale nella corteccia interna di un faggio caduto al confine tra Francia e Germania.
Il metallo è stato assorbito dall’albero nei pattern dei suoi anelli di crescita, il buco lasciato è diventato un rifugio per insetti e funghi. Le creature che compongono Labyrinth elements (2007) mettono insieme elementi metallici ritrovati e legno intagliato dallo stesso albero morto, dando vita a una comunità di esseri ibridi.
La sequenza di apertura definisce la critica di Durham alle nozioni di autenticità, identità, verità e nazione dentro a sistemi di consumo capitalista – “Veracity” e “Voracity”, si legge su due delle sue prime insegne scultoree.
Il suo retaggio familiare gli ha permesso di avere un’attenzione particolare su questo argomento, ma ha rifiutato di essere etichettato iscritto come Cherokee nelle liste tribali ufficiali stabilite dal governo federale degli Stati Uniti, ed è stato critico nei confronti delle varie forme di ghettizzazione, romanticismo e strumentalizzazione che possono facilmente accompagnare tale etichettatura, pur rispettando le scelte altrui.
Jimmie Durham: humanity is not a completed project, installation view, Museo Madre, Napoli
Fu legato da un rapporto di amicizia ai grandi leader Cherokee Robert Thomas e Gerald Wilkinson, anch’essi non iscritti, mentre un’altra amica di lunga data, Wilma Mankiller, divenne capo della Nazione Cherokee. Dal 1969, mentre frequentava la scuola d’arte a Ginevra, Durham ha fatto parte di una rete di pensatori e attivisti coinvolti nei movimenti di liberazione del Terzo Mondo e degli indigeni, e nel 1973 è tornato negli USA per partecipare alle lotte per i diritti civili.
Ha collaborato con il Central Council of the American Indian Movement (AIM), contribuendo a fondare AIM: Women of All Red Nation (WARN), e poi dal 1975, come direttore fondatore dell’International Indian Treaty Council (IITC) presso le Nazioni Unite, ha lavorato all’integrazione nel diritto internazionale della “Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni”. Nel 1979 Durham si dimette dall’AIM, esprimendo dubbi sulla sua autonomia politica, e si concentra nuovamente sulla produzione artistica, pur dichiarando la sua intenzione di mantenere un impegno nelle lotte in corso.
– Exhibition info: Jimmie Durham: humanity is not a completed project. A cura di Kathryn Weir
– When: 23 dicembre 2022 – 10 aprile 2023.
– Where: Museo Madre, Napoli.
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