Guido Segni - Fino alla fine
Redazione Art-Vibes | On 21, Gen 2019
In un’epoca ipertecnologica e ossessionata dalla produzione, una riflessione contemporanea sul rapporto tra arte, lavoro e tempo.
di Redazione Art Vibes
Picture: Guido Segni – Fino alla fine, Adiacenze (Bologna)
A Bologna in occasione di Arte Fiera e all’interno del Circuito ART CITY Segnala 2019, Adiacenze inaugura Venerdì 1 febbraio alle ore 19.30, la prima personale in galleria di Guido Segni, “Fino alla fine” a cura di Alessandra Ioalè e Marco Mancuso (Direttore e Fondatore di Digicult).
Il tempo è l’elemento su cui riflette la mostra dell’artista e attivista Guido Segni. Un momento espositivo che racconta la sua visione del tempo, la sua percezione, il modo in cui lo usiamo o potremmo usarlo in un’epoca di forte accelerazione tecnologica, crescente dipendenza dalle macchine e ossessione per il lavoro.
Analizzando il modo in cui sta cambiando la percezione collettiva del concetto di “automazione“, Guido Segni si domanda: perché perdere tempo lavorando? Non sarebbe più proficuo se un artista impiegasse quel tempo in altro modo, mentre è una macchina a lavorare per lui? Possiamo misurare il tempo non-lavorativo, che per molti sarebbe tempo perso? Al contempo, una macchina, quanto e come può imparare a fare qualcosa secondo processi di machine learning?
“Fino alla Fine” è una mostra che induce a riflettere sul rapporto tra arte, lavoro, auto sostentamento e pigrizia e mette in crisi, in ultima analisi, i sistemi di produzione dell’arte indagando lo sviluppo del gesto algoritmico nel tempo e l’importanza di ciò che lascia. La sua traccia.
Testo critico di Alessandra Ioalè e Marco Mancuso
FINO ALLA FINE – Quando la fine giustifica il medium
La tecnica, affermava Beuys, deve piegarsi e adattarsi a ciò che interessa l’artista e la creazione artistica sta essenzialmente nel fare. Al giorno d’oggi, le parole “tecnica” e “fare” assumono però nuove sfaccettature, specialmente quando le associamo alla pratica d’arte online. In Guido Segni coincidono da sempre con la programmazione di software e rielaborazione del materiale riversato e archiviato ogni giorno sul web, operando una rilettura critica dei protocolli e dei servizi forniti dalle principali piattaforme social e dai più conosciuti applicativi automatizzati in rete.
Quella di Segni è una ricerca artistica segnata da domande sul rapporto tra creazione e temporalità, sull’obsolescenza tecnologica, sul futuro dell’opera d’arte in relazione all’elemento autoriale, alla sua archiviazione e riproduzione, nonché al rapporto con il pubblico che ne fruisce. Una ricerca recentemente influenzata dal pensiero di Nick Srnicek e Alex Williams, che auspicano il raggiungimento della piena automazione per liberare il tempo dal lavoro e dalla produzione, elementi di cui la nostra società è ossessionata. Il concetto di tempo diventa così materia di indagine per l’artista e la sua pratica si sviluppa – soprattutto negli ultimi anni – in una attenta sperimentazione multidisciplinare, nella materializzazione di opere in rete, che diventano tangibili e nella programmazione di algoritmi per l’automazione della creazione artistica online/offline.
Da algoritmi semplici, per un’automazione primaria, cui si riferiscono le opere tra il 2013 e il 2017, si osserva nell’artista un graduale passaggio all’utilizzo di algoritmi più complessi, in cui si sperimentano reti neurali per un’automazione avanzata, per i progetti concepiti nell’ultimo anno di attività.
Nella mostra “Fino alla fine” – dall’1 febbraio al 16 marzo 2019 presso gli spazi di Adiacenze a Bologna, a cura di Alessandra Ioalè e Marco Mancuso – Guido Segni espone lavori che declinano il fattore tempo come spazio di sperimentazione, creazione e verifica dell’opera, della sua fruizione, del suo evolversi nel tempo. Da qui il titolo della mostra, che coincide con quello dell’opera Fino alla Fine (2018), che per paradosso non ha una vera e propria conclusione, ma prosegue in eterno, fino alla fine del tempo, o più prosaicamente della tecnologia che lo produce. L’opera è difatti un video generato da un algoritmo, che seleziona e assembla ogni giorno i segmenti dei primi 25 fotogrammi corrispondenti al primo secondo di ogni video caricato su YouTube. Un flusso potenzialmente infinito e ipnotico di immagini prodotte da tutti gli utenti del più diffuso sistema di video sharing del mondo.
Guido Segni – The artist is typing, (2016)
The artist is typing (2016), invece, è un’opera che pone l’accento contemporaneamente sul “tempo di produzione” e sul “tempo di attesa”, rivelando al pubblico nello spazio espositivo la presenza immateriale dell’artista, la sua essenza effimera nel momento in cui “sta scrivendo”, dalla tastiera del suo pc, un testo relativo a un suo lavoro, ma anche una mail privata, una lettera d’amore, un ordine su Amazon, un pezzo di codice Html o persino una ricerca su Google.
Il lavoro artistico è un software, elemento digitale per sua stessa natura, che rivela la corporeità di Segni nel momento in cui diventa “oggetto” in un monitor, mostrando la scritta “the artist is typing” e la classica icona dei tre pallini in movimento, caratteristica di quel tempo “di attesa”, prima di ricevere un messaggio, tipico dei più comuni sistemi di messaggeria istantanea. Nel momento in cui l’opera in mostra si confronta con il fruitore, questo diventa il potenziale destinatario del messaggio, attivandosi in lui lo stato di attesa e di curiosità per qualcosa che può manifestarsi dà un momento all’altro. Una condizione ambivalente in cui tutti noi ci immergiamo ogni volta che interagiamo per mezzo di un sistema di chat: ciò che per l’artista/mittente è “tempo di produzione”, per il fruitore/destinatario diventa “tempo di attesa”.
Guido Segni – Verba volant, scripta manent, 2017
Verba volant, scripta manent (2017) è l’opera che rilegge il concetto di “tempo della memoria” nell’era effimera dei media digitali, mettendo a confronto l’attimo fuggente e la natura “numerica” di un messaggio in un Tweet con il materiale simbolo dell’eternità temporale della parola: il marmo. Reinterpretando e riattualizzando le tradizionali tecniche di incisione, grazie all’uso di una macchina a controllo numerico, l’artista, nella materializzazione della schermata di Twitter con la scritta “verba volant” scolpita su una lastra di marmo di Carrara come una vera e propria epigrafe, si riappropria di quella forma di “tramandamento” su supporto non deperibile di un testo, elaborando un mélange che unisce la tradizione classica con quella moderna fatta di elementi grafici, dallo stile iconico, e frasi sintetiche dal registro ironico tipici del linguaggio web.
In A quiet Desert failure (2015) Guido Segni sfida l’incertezza del futuro tecnologico, la probabile obsolescenza tecnica di protocolli, interfacce, codici e strutture di Rete in relazione alla sopravvivenza di un’opera d’arte online, ponendosi la domanda: cosa succederà alla mia creazione con il passare del tempo?
A quiet Desert failure è una performance algoritmica iniziata nel 2013, un sistema automatizzato che da cinque anni posta e archivia su un apposito profilo Tumblr un’immagine satellitare di una area definita del deserto del Sahara, ogni 30 minuti, con lo scopo di mappare, entro cinquant’anni, l’intero colosso di sabbia conosciuto come il più vasto deserto caldo del pianeta. Su tutto il lavoro, pesa l’incognita che i server di Google, l’archivio di Tumblr o la stessa rete Internet durino abbastanza per vederne il completamento o, in caso contrario, saggiarne il fallimento.
Guido Segni – Untitled desert #1
L’artista ci permette di verificare sia il cambiamento della realtà oggettiva, catturata attraverso il filtro dell’occhio satellitare, sia la trasformazione dell’opera nel tempo, che coincide con la modificazione della zona geografica presa in esame. La performance algoritmica è l’opera d’arte, l’atto nel tempo, di cui le stampe prodotte non sono altro che tracce o documenti destinati a imperitura memoria.
Da ultimo, il progetto multidisciplinare Demand full Laziness (2018-2023) si focalizza sul contrasto tra tempo “perso” e tempo “operativo” esaltando il concetto di pigrizia e ponendosi come una rivendicazione del diritto all’ozio tale da contrapporsi all’ossessione del lavoro salariato, che l’uomo ha paura di perdere con l’avvento delle intelligenze artificiali, del machine learning e della piena automazione dei processi.
La pigrizia diventa il pretesto per parlare e rivalutare in senso positivo il concetto di automatismo e, nel tempo-contesto del progetto, si declina il concetto di “tempo di sperimentazione” dei diversi tipi di processi computazionali applicati alla creazione artistica, verificando come e quanto una macchina sia in grado di ritrarre la realtà attorno a sé.
Guido Segni – Demand full laziness – Lot 2018_000001 – still #1
Demand full Laziness è un ennesimo atto performativo che Guido Segni fa compiere alla sua macchina, un piano quinquennale di produzione automatizzata da un sistema algoritmico in deep learning capace di osservare il contesto che lo circonda e reinterpretarlo esteticamente, esplorando nuove possibili relazioni tra lavoro e tempo libero, tra gesto artistico e produzione digitale. Gli output, ovvero le opere prodotte, sono prove dell’atto cognitivo dell’algoritmo, secondo un mutuo processo di emancipazione: quello della macchina dal suo creatore e quello dell’artista dal lavoro di produzione materiale. Immagini, oggetti, video, suoni, sono distribuiti nello spazio espositivo e potenzialmente in vendita, acquistabili da collezionisti, feticisti dell’automazione e supporter del progetto, per contribuire quindi al Patreon dell’artista che “nulla ha fatto” se non riposare sul proprio letto.
Tutti i progetti in mostra dimostrano che per Guido Segni, liberare il lavoro di creazione artistica dal concetto di tempo, grazie all’automazione algoritmica, significa assicurare un futuro alla propria opera, la quale può perpetuarsi ben oltre la capacità di sopravvivenza fisica dell’artista stesso. Anche se l’incognita dell’obsolescenza tecnica incombe, egli suggerisce un ritorno alla funzione primaria della tecnologia, troppo spesso dimenticata e demonizzata dai sistemi sociali ed economici del nostro contemporaneo postmoderno.
Testo a cura di Alessandra Ioalè e Marco Mancuso
Guido Segni – Note biografiche
Vive e lavora in Italia, all’estero e in Internet nelle intersezioni tra arte, cultura dei nuovi media e allucinazioni digitali. Co-fondatore del gruppo Les Liens Invisibles, ha esposto internazionalmente in gallerie, musei (MAXXI Rome, New School of New York, KUMU Art Museum of Talinn) e festival di arte contemporanea e nuovi media (International Venice Biennale, Piemonte SHARE Festival, Transmediale).
Ha recentemente vinto una menzione onoraria al Festival Transmediale di Berlino (2011). Artista e Webdesigner, si occupa di arte e nuovi media dalla fine degli anni ‘90. Ha scritto articoli e recensioni per le più note riviste di settore (Neural, Digicult). Insegna all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Segue laboratori pratici e corsi di formazione legati al mondo della produzione digitale e multimediale.
Ultime esposizioni: “A New Social Contract“, curated by Elena Giulia Abbiatici for OFF Biennale, Cairo, 2015; “Object” | Pixxelpoint media art festival curated by Igor Štromajer, Nova Gorica and Gorizia, 2015; “(in)exactitude in science” @ The Wrong: New Digital Art Biennale, curated by Filippo Lorenzin and Kamilia Kard, 2016; “Ego Update. Die Zukunft der digitalen Identität” curated by Alain Bieber, NRW-Forum, Düsseldorf, 2016; “Random Access Memory” Media Art Festival, Art Museum Arad, Romania, 2014; “Reality check” curated by Filippo Lorenzin, Spazio ULTRA, Udine, 2014; “Pics or it didn’t happen” online solo exhibition at HOC Gallery, 2014; “Segni Leggeri. Internet non è per sempre” double show curated by Alessandra Ioalé at BAG Gallery, Parma, 2017.
Guido Segni – Untitled desert #3
– via: Art Vibes submission – images courtesy of: Alessandra Ioalè
– Exhibition info: Guido Segni – Fino alla fine, a cura di Alessandra Ioalè e Marco Mancuso.
– When: 1 febbraio – 16 marzo 2019.
– Where: Adiacenze, Vicolo Spirito Santo 1/B, Bologna.
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