Biennale de La Biche - Intervista ad Alex Urso
Annalisa Grassano | On 01, Feb 2017
La più piccola biennale d’arte contemporanea del mondo.
di Annalisa Grassano
Picture: Jeremie Paul – Biennale de La Biche 2017
La Biennale de La Biche è la più piccola biennale d’arte contemporanea del mondo. Per la sua prima edizione, Alex Urso e Maess Anand, fondatori e curatori del progetto, hanno selezionato quattordici artisti internazionali. Ad ogni partecipante è stato chiesto di concepire un’opera in grado di coesistere con l’ambiente della location: l’incantevole isola caraibica di Ilet de La Biche, un lembo di terra nell’Atlantico destinato a scomparire a causa dell’innalzamento dei mari, dovuto al riscaldamento globale.
Il mondo dell’arte è pieno di biennali, con oltre 150 eventi sparsi in tutto il mondo. Tuttavia, una rassegna su una remota isola disabitata nel Mar dei Caraibi è senza dubbio una novità.
Una biennale lillipuziana lontana dalle dinamiche comuni, completamente distante dalla follia del classico sistema che coinvolge il mondo dell’arte.
Un non-luogo che diventa punto d’incontro tra forze creative differenti, tra la natura e l’arte nella sua essenza più pura. Abbiamo intervistato Alex Urso, co-curatore insieme a Maess Anand, ecco cosa ci ha raccontato:
Intervista ad Alex Urso
Come è nato l’incontro con Maess Anand, cosa vi ha portato a lavorare insieme?
Io e Maess ci siamo incontrati come artisti, vivendo entrambi a Varsavia. Pian piano, conoscendoci meglio, abbiamo pensato alla possibilità di una collaborazione. Abbiamo trovato subito una buona sintonia, umana e intellettuale, motivo che ci ha spinti ad affrontare insieme questo progetto coraggioso e un po’ matto.
Una biennale su di una piccola isola caraibica che sta scomparendo per colpa del riscaldamento globale, un’idea singolare, raccontaci un po’ come è nata.
Tutto è nato da una proposta di Maess che, per motivi personali, si stava preparando ad un viaggio sull’isola di Guadalupa. Conoscendo la mia attività – oltre che di artista – di curatore indipendente, mi ha proposto di pensare insieme ad un progetto espositivo da realizzare su un’isola deserta e piccolissima, raggiungibile dalla Guadalupa in barca.
L’isola, dal nome francese Ilet La Biche, è un posto con una fauna marina incantevole. Eppure è un luogo fantasma perché, pur se anni fa abitata, La Biche è oggi deserta e destinata a scomparire a causa dell’innalzamento dei mari. È un lembo di terra nell’Atlantico, difficile da arrivare, che non offre strutture di accoglienza eccetto una sorta di baracca in legno. In questo non-luogo abbiamo deciso di dar vita alla biennale.
Zuza Ziolkowska-Hercberg, Installation view – Biennale de La Biche, 2017
I lavori, allestiti personalmente da voi, rimarranno nello spazio e si integreranno con il luogo, diventando parte dello stesso. Opere che nascono con il solo intento di consumarsi. Insomma liberate l’arte o l’abbandonate a se stessa?
Credo che l’arte sia libera per definizione, casomai l’artista è quello intrappolato.
Le interpretazioni del progetto possono essere diverse. L’idea che abbiamo proposto è quella di immaginare i lavori come elementi sensibili distanti da tutte le convenzioni e dalle dinamiche che caratterizzato il mondo dell’arte oggi. Avere delle opere su un luogo visitato da poche decine di visitatori all’anno, lasciati senza certezze, costretti a consumarsi in loco, ribalta l’idea comune dell’opera d’arte come frammento monumentale e stabile su una linea del tempo. Piuttosto, ci interessava accentuare il carattere di fragilità dell’opera, quale elemento che decade seguendo i limiti del mondo di cui è inevitabilmente parte.
Su una piccola isola sperduta i visitatori saranno pochini, ma questo non sembra minimamente interessarvi.
Infatti, ma dipende di quale pubblico parliamo. Ogni giorno la biglietteria è affollata di tartarughe marine che fanno la fila per entrare.
Alex Urso, Styrmir orn Guomundsson, Installation view – Biennale de La Biche, 2017
Come avete scelto gli artisti?
L’obiettivo era definire l’isola come una sorta di luogo di incontro, nel quale far convergere forze provenienti da più parti del mondo. Tuttavia, trattandosi di un progetto indipendente, e quindi senza grandi possibilità economiche, abbiamo dovuto far in modo di ottimizzare al meglio l’aspetto logistico legato al trasporto delle opere: il compromesso è stato richiedere ad ogni artista un lavoro dalle dimensioni ridotte, facile da far arrivare sul posto.
Ogni artista è stato selezionato tenendo conto della sua vicinanza al tema, e dunque considerando sia l’aspetto lirico e formale dei suoi lavori, sia quello tecnico e dei materiali utilizzati.
I nomi dei partecipanti sono: Karolina Bielawska, Norbert Delman, Michal Frydrych, Styrmir Örn Guðmundsson, Maess, Ryts Monet, Jeremie Paul, Lukasz Ratz, Lapo Simeoni, Saku Soukka, Aleksandra Urban, Yaelle Wisznicki Levi, Alex Urso, Zuza Ziółkowska-Hercberg.
Ci sono anche artisti locali?
Sì, ci è sembrato giusto e utile includere autori del posto, in grado di aiutarci a coordinare il tutto da lontano o di assisterci una volta sull’isola. Abbiamo pertanto invitato Jeremie Paul, che è un visual-artist guadalupano attualmente di base a Parigi. La sua opera è una grande bandiera piantata nell’oceano Atlantico… ammesso che sia ancora in piedi.
Maess Anand – Biennale de La Biche, 2017
Norbert Delman, Installation view – Biennale de La Biche, 2017
Karolina Bielawska – Biennale de La Biche, 2017
Lapo Simeoni, Installation view – Biennale de La Biche, 2017
Michał Frydrych – Biennale de La Biche, 2017
– images via: Biennale de La Biche
Further reading:
– website: biennaledelabiche.org
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