Avremo anche giorni migliori. Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche
Redazione Art-Vibes | On 20, Gen 2020
Arte, politica, umanità: disegni e pitture che testimoniano l’orrore e la verità della prigionia, la fragilità e la forza di una giovane donna ribelle.
di Redazione Art Vibes
Picture: Zehra Doğan, Kervan 1, Caravan 1, 2017, carcere di Diyarbakir, 21 x 30 cm, curcuma, caffè, penna da disegno su carta. Photo credit: Jef Rabillon.
«Gli occhi dei personaggi che disegno sono più grandi del normale. Sono estremamente aperti e grandi. Perché gli occhi sono testimoni di tutto… Parlare non basta, lo so già. Sono gli occhi dei personaggi che raccontano ogni cosa»
Zehra Doğan
Aperta al pubblico dal 16 novembre 2019 nella cornice del Museo di Santa Giulia a Brescia, la mostra “Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche”, un’esposizione che ha riscontrato un grande successo tanto da prolungare l’apertura fino al 1 marzo 2020.
Un progetto originale curato da Elettra Stamboulis che costituisce la prima mostra di impianto critico curatoriale dedicata all’opera della fondatrice dell’agenzia giornalistica femminista curda “Jinha”.
L’arte di questa artista si interseca e intreccia con la vicenda personale e, inevitabilmente, con i drammatici eventi politici della più stringente attualità. La mostra fa luce sulla sua poetica, affrontandone le tematiche e i motivi ricorrenti, evidenziandone la complessità linguistica e mostrando l’ampia gamma di supporti e tecniche utilizzate per produrre opere d’arte: oggetti inconsueti, estremamente fragili, ma di grande potenza espressiva.
Zehra Doğan, Senza titolo, 2017, carcere di Diyarbakir, 20,5 x 29,5 cm, curcuma, penna a sfera su carta. Photo credit: Jef Rabillon
Zehra Doğan, Fatıma’nın Eli, Mano di Fatima, Novembre 2018, carcere di Diyarbakir, 58 x 34 cm, tè, caffè, ricamo, penna a sfera su federa. Photo credit: Jef Rabillon
Memorabile inoltre l’appuntamento di sabato 23 novembre 2019 in cui Zehra Doğan è stata protagonista di un appuntamento presso il Museo di Santa Giulia, qui ha realizzato dal vivo in presenza del pubblico il ritratto di Hevrin Khalaf, alla quale l’opera è dedicata.
Hevrin Khalaf era la segretaria generale del Partito del Futuro siriano, attivista per i diritti delle donne e in prima linea per il riconoscimento dell’identità del popolo curdo, ed è stata uccisa il 12 ottobre 2019 da alcuni uomini appartenenti alle milizie mercenarie arabe che appoggiano l’offensiva turca. Le pagine del giornale utilizzate come supporto dell’opera sono dei giorni in cui la notizia dell’uccisione è stata diffusa dai media. La performance ha accolto 200 visitatori e l’opera prodotta è stata incorniciata e inserita nel percorso espositivo della mostra, oltre alla realizzazione di un video dedicato al racconto di quella speciale giornata.
Zehra Doğan – Ritratto di Hevrin Khalaf, performance artistica del 23 novembre 2019. ph. Christian Penocchio – Comune di Brescia.
Zehra Doğan – Ritratto di Hevrin Khalaf, performance artistica del 23 novembre 2019. ph. Christian Penocchio – Comune di Brescia.
Dopo il grande successo della performance organizzata lo scorso maggio presso la Tate Modern di Londra, città in cui Zehra Doğan ha scelto provvisoriamente di vivere il proprio esilio, l’artista è ora protagonista a Brescia di una potente esposizione, in occasione della sua partecipazione al Festival della Pace, organizzato dal Comune di Brescia e dalla Provincia di Brescia.
Il percorso espositivo concepito da Elettra Stamboulis riunisce circa 60 opere inedite, tra disegni, dipinti e lavori a tecnica mista, che interessano tutto il periodo della detenzione dell’artista nelle carceri di Mardin, Diyarbakir e Tarso, dove Zehra è stata rinchiusa per 2 anni, nove mesi e 22 giorni con l’accusa di propaganda terrorista per aver postato su Twitter un acquarello tratto da una fotografia scattata da un soldato turco.
Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.
Accanto alle immagini, anche brani del diario scritto durante la prigionia. Si tratta di riflessioni in cui Zehra Doğan più volte fa riferimento ad artisti che nel corso della storia hanno manifestato il proprio dissenso senza pagarne, almeno apparentemente, le conseguenze e a quegli artisti che invece si rifiutano di prendere una posizione.
La mostra dà conto della necessità irrefrenabile di produrre e raccontare non tanto la propria, quanto l’altrui condizione con l’immagine e la parola. Dalla carta di giornale alle stagnole dei pacchetti di sigarette, dagli indumenti di uso comune ai frammenti di tessuto: ne emerge una amplissima gamma di strumenti e materiali, spesso legata alle particolari contingenze entro le quali le opere hanno trovato vita. Qualunque elemento tratto dal quotidiano incorre nella creazione, come il caffè, gli alimenti, il sangue mestruale o i più tradizionali pastelli e inchiostri, quando reperibili.
Una prima sezione della mostra è dedicata alle macchie, forme generatesi dalla casuale sovrapposizione di materiale a un supporto scelto in quel momento come superficie creativa. A partire dalle macchie l’artista delinea un immaginario simbolico, dominato dalla figura umana sintetizzata nell’esaltazione di alcune componenti specifiche come gli occhi, le mani e gli attributi della femminilità.
La figura femminile, quale singolo individuale o corpo collettivo, costituisce la seconda sezione di questo itinerario. Attivista femminista, tra i primi giornalisti internazionali ad avere raccolto le testimonianze delle donne Yazide scampate all’ISIS, Doğan dedica alla rappresentazione della donna la parte più vasta della propria produzione.
Il corpo rientra nella rappresentazione politica con scene di guerra in cui di nuovo incorre la predominanza della presenza femminile, a sottolineare come la prima delle battaglie da vincere sia quella contro il patriarcato. Pablo Picasso, quello di “Guernica” e dell’elaborazione di un linguaggio specifico della disperazione è, nelle parole dell’artista stessa, il punto di riferimento fondamentale per definire una narrativa del dolore.
Conclude la mostra un nucleo di opere create dopo l’esperienza in carcere.
Zehra Doğan è stata rilasciata il 24 febbraio 2019. La sua storia di artista dissidente ha da subito raccolto l’interesse e la solidarietà del mondo dell’arte internazionale, tanto che Ai Weiwei le ha scritto una lettera personale e, lo scorso anno, Banksy le ha dedicato il più ambito dei muri di Manhattan, il Bowery Wall, con un’opera che la raffigura dietro le sbarre, mentre impugna la sua arma più potente: una matita. I
n tutto questo periodo, l’artista non ha mai cessato la propria attività artistica e giornalistica, realizzando opere con materiale di recupero, collaborando con le compagne detenute nella costruzione di immagini e nella realizzazione di un giornale di bordo che documentasse la loro detenzione.
Zehra Doğan, Efrin, Afrin, 2018, carcere di Diyarbakir, 130 x 90 cm, rosa canina, caffè, candeggina, penna a sfera su lembo di gonna. Photo credit: Jef Rabillon
Zehra Doğan, Palestina, 8 giugno 2019, Londra, 92 x 97 cm, miscele naturali su tela. Photo credit: Jef Rabillon
Zehra Doğan, Parçalanmış birliktelik, Insieme frammentato, 2018, carcere di Diyarbakir, 23 x 28 cm, penna a sfera su pagina di atlante. Photo credit: Jef Rabillon
– via: bresciamusei.com – Photo credit: Jef Rabillon, courtesy of: Museo di Santa Giulia
– Exhibition info: Avremo anche giorni migliori. Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche. A cura di Elettra Stamboulis.
– When: 16 novembre 2019 – 1 marzo 2020.
– Where: Museo di Santa Giulia, via Musei 81/b – 25121 Brescia.
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