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“Migrant child” di Banksy a Venezia - Opera da preservare?

“Migrant child” di Banksy a Venezia – Opera da preservare?

| On 27, Set 2023

Bisogna intervenire per preservare l’opera o lasciare che il tempo faccia il suo corso assecondando il carattere effimero del pezzo?

di Redazione Art Vibes


Picture: Banksy, Migrant Child, Dorsoduro, Venezia, 2019. Foto Zeno Striga. Fonte Wikimedia Commons. Licenza CC BY-SA 4.0.


Da qualche giorno il bambino naufrago dipinto da Banksy a Venezia nel sestiere di Dorsoduro, a campo San Pantalon, è tornato a far parlare di sè.

Migrant child”, realizzato nel 2019 dal graffiti artist di Bristol, nel corso degli anni ha magnetizzato l’attenzione di migliaia di curiosi, attirati in laguna anche dalla sua presenza.

Ad oggi sono trascorsi quasi quattro anni dalla sua comparsa e il livello di deterioramento della vernice spray con la quale è stato composto appare elevato.

In tanti hanno sollevato il problema se sia il caso di intervenire o meno per preservare il pezzo dall’usura del tempo e dell’acqua oppure lasciare che il colore sbiadisca definitivamente e progressivamente non lasci più traccia dell’opera.

Sempre in Italia e sempre con Banksy si era incappati in una situazione simile con la “Madonna con la Pistola”, stencil sempre realizzato dall’artista inglese nel 2010 nella città di Napoli.

In quel caso si era deciso di preservare l’opera proteggendola con una teca di plexiglass, decisione maturata soprattutto dopo svariati tentativi di coprire e alterare l’intervento pittorico da parte di terzi.

Paragonando le due situazioni ciò che emerge è una differente specificità del luogo dell’installazione, proprio perché a Venezia l’acqua del canale è parte essa stessa dell’opera, ergo azioni erosive dettate dall’acqua alta o dai moti ondosi provocati dalle barche in transito è come se debbano essere considerati come elementi variabili della composizione.

Alla domanda se bisogna intervenire per preservare l’opera o lasciare che il tempo faccia il suo corso, in molti del settore si sono espressi lasciando intuire un’ampio ventaglio di vedute.

Tra i pareri più autorevoli che abbiamo letto tra alcune dichiarazioni rilasciate al Corriere del Veneto citiamo le parole di Marco Goldin, storico dell’arte, curatore e narratore; “Da fautore della conservazione mi verrebbe da dire che l’opera andrebbe staccata dal muro, protetta ed esposta in condizioni di sicurezza, evitando tutti i problemi di deterioramento e scomparsa. D’altro canto se mi metto nei panni dell’artista non credo che questa sia l’idea con cui nascano le sue opere. Opere che, al di là del loro stato di denuncia sociale e ingaggio con la realtà, hanno a che fare con i luoghi a cielo aperto, soggetti a criticità atmosferiche e cambiamenti urbani.

Egoisticamente mi verrebbe da consigliare di strapparla come si fa con gli affreschi, per consegnarla ai posteri, seppure mi piaccia pensare che un’opera possa vivere la sua esistenza a contatto con gli elementi che hanno costituito la sua essenza. È un bel dilemma e non riesco a propendere né per l’una né per l’altra risposta. Facendo il gioco della torre, in cui si butta giù la soluzione peggiore, per trattenere la meno peggio, direi di conservarla, ma vivrei in perenne contrasto interiore perché è nata con altre intenzioni“.

Opinione decisamente più drastica quella palesata dal sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi che ha dichiarato: “Certo che quell’opera va conservata. L’artista può pensare quello che gli pare, ma l’opera prescinde dalla sua volontà. Banksy si è mosso ai margini del mondo dell’arte, al di fuori dei percorsi museali, di critica e mercato». L’opera deborda dall’artista e da tutto ciò che lo riguarda. Perché tutto ciò che viene pubblicamente riconosciuto come opera d’arte, lascia spazio all’interesse della comunità. Se avessimo la «O» di Giotto disegnata su una roccia, non la potremmo buttare via — esemplifica Sgarbi — perché perderemmo una testimonianza preziosa per la nostra storia dell’arte“.

Anche il mondo del writing e dell’arte urbana è stato interpellato sull’argomento esprimendo vedute in totale dissenso con quelle appena riportate. Ad esporsi sono stati due street artist padovani: Alex Ermini e Joys. Il primo ha affermato: «La street art ha una caducità: vedere il tempo che rovina la superficie e crea una patina, aggiunge poetica».

Joys in accordo con Ermini ha ulteriormente aggiunto: «È assurdo restaurare ciò che dovrebbe essere effimero di natura».

E voi da che parte state?


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