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Art Vibes – Let's share beauty | December 18, 2024

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Richard Mosse - Displaced

Richard Mosse – Displaced

| On 11, Mag 2021

Migrazione, conflitto e cambiamento climatico: un’esplorazione tra la fotografia documentaria e l’arte contemporanea per mostrare quel confine in cui si scontrano i cambiamenti sociali, economici e politici.

di Redazione Art Vibes


Picture: © Richard Mosse – Lost Fun Zone, eastern Democratic Republic of Congo, 2012. Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid. Il campo profughi di Kanyaruchinya, nel Kivu Nord, ha ospitato almeno 60.000 persone migrate verso sud dal territorio di Rutshuru per sfuggire ai ribelli dell’M23. Questa fotografia è stata scattata alla fine di ottobre 2012. Solo poche settimane dopo, la popolazione di Kanyaruchinya sarebbe stata costretta a fuggire di nuovo, abbandonando il campo in fretta e furia.


La Fondazione MAST presenta Displaced, la prima mostra antologica dell’artista Richard Mosse. Curata da Urs Stahel, la mostra presenta un’ampia selezione dell’opera del fotografo irlandese, un’esplorazione tra la fotografia documentaria e l’arte contemporanea su Migrazione, Conflitto e Cambiamento climatico, che ha l’intento di mostrare quel confine in cui si scontrano i cambiamenti sociali, economici e politici.

In mostra alla Fondazione MAST sono esposte 77 fotografie di grande formato inclusi i lavori più recenti della serie Tristes Tropiques (2020), realizzati nell’Amazzonia brasiliana. Oltre a queste straordinarie immagini, la mostra propone anche due monumentali videoinstallazioni immersive, The Enclave (2013) e Incoming (2017), un grande video wall a 16 canali Grid (Moria) (2017) e il video Quick (2010).

 

© Richard Mosse - Mineral Ship, Crepori River, State of Para, Brazil, 2020. Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid
© Richard Mosse – Mineral Ship, Crepori River, State of Para, Brazil, 2020. Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid

Richard Mosse crede fermamente nella potenza intrinseca dell’immagine, ma di regola rinuncia a scattare le classiche immagini iconiche legate a un evento. Preferisce piuttosto rendere conto delle circostanze, del contesto, mettere ciò che precede e ciò che segue al centro della sua riflessione. Le sue fotografie non mostrano il conflitto, la battaglia, l’attraversamento del confine, in altri termini il momento culminante, ma il mondo che segue la nascita e la catastrofe. L’artista è estremamente determinato a rilanciare la fotografia documentaria, facendola uscire dal vicolo cieco in cui è stata rinchiusa. Vuole sovvertire le convenzionali narrazioni mediatiche attraverso nuove tecnologie, spesso di derivazione militare, proprio per scardinare i criteri rappresentativi della fotografia di guerra”, spiega il curatore Urs Stahel.

I primi lavori (MAST.Gallery) – Richard Mosse inizia a occuparsi di fotografia nei primi anni 2000, mentre termina gli studi universitari. I suoi primi lavori scattati in Bosnia, in Kosovo, nella Striscia di Gaza, lungo la frontiera fra Messico e Stati Uniti sono caratterizzati dall’assenza quasi totale di figure umane. Solo nelle immagini che compongono la serie Breach (2009), incentrata sull’occupazione dei palazzi imperiali di Saddam Hussein in Iraq da parte dell’esercito americano, sono presenti personaggi in azione. Questi primi lavori documentano le zone di guerra dopo gli eventi, non mostrano il conflitto, la battaglia, l’attraversamento del confine, ma il mondo che segue la catastrofe. Immagini emblematiche di distruzione, sconfitta e collasso dei sistemi: l’aftermath photography, la fotografia dell’indomani.

Infra (MAST.Gallery) e The Enclave (Livello 0) – Tra il 2010 e il 2015, prima per Infra e poi per The Enclave, complessa videoinstallazione in sei parti sullo stesso tema, Richard Mosse si reca nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, nella regione del Nord Kivu, dove viene estratto il coltan, un minerale altamente tossico da cui si ricava il tantalio, materiale che trova largo impiego nell’industria elettronica e che è presente in tutti i nostri smartphone.

 

© Richard Mosse - Souda Camp, Chios Island, Greece, 2017. MOCAK Collection, Krakow
© Richard Mosse – Souda Camp, Chios Island, Greece, 2017. MOCAK Collection, Krakow. Situato ai piedi dei bastioni di una Fortezza medievale, Souda ospita 950 persone secondo le stime ufficiali, una cifra che corrisponde al doppio della capienza, con i nuovi arrivati costretti a montare le tende sulla spiaggia adiacente. I residenti lamentano infestazioni di ratti, epidemie di scabbia, scarsità di alloggi e intossicazioni alimentari. Il 30% dei richiedenti asilo di Souda hanno trascorso nel campo più di sei mesi. Gli abitanti dell’isola di Chios, furiosi per il fatto che la loro terra e la sua florida industria turistica siano in prima linea nella crisi europea dei migranti, organizzano frequenti proteste. Il partito neofascista Alba Dorata raccoglie nell’isola numerosi consensi e i suoi membri hanno attaccato il campo in varie occasioni, lanciando dalle mura del castello massi e bombe molotov sui migranti indifesi parecchi metri più in basso e ferendo molte persone. I rifugiati sono spesso aggrediti e incarcerati illegalmente da poliziotti che simpatizzano con gli ideali di Alba Dorata. Sono stati riportati casi di violenza sessuale ai danni di giovani donne ad opera di cittadini di Chios, documentati da video girati con il cellulare e diffusi a scopo di intimidazione. Secondo Human Rights Watch, i casi di attacchi d’ansia, autolesionismo e suicidio tra i profughi di Chios sono molto numerosi.

Il Congo, ricco di risorse minerarie, una delle aree più ricche dell’intero continente africano, è segnato da continue guerre e disastri umanitari senza precedenti: dopo il genocidio in Ruanda del 1994 le milizie ribelli stabilitesi nella Repubblica democratica del Congo non hanno mai smesso di alimentare nuove ondate di violenza.

Per i suoi scatti in queste zone devastate Mosse ha scelto Kodak Aerochrome, una pellicola da ricognizione militare sensibile ai raggi infrarossi, ormai fuori produzione, messa a punto per localizzare i soggetti mimetizzati. Negli scatti di Infra, la pellicola registra la clorofilla presente nella vegetazione e “rende visibile l’invisibile“, con il risultato che la lussureggiante foresta pluviale congolese viene trasfigurata in uno splendido paesaggio surreale dai toni del rosa e del rosso. In Infra sono fotografati paesaggi maestosi, scene con ribelli, civili e militari, le capanne in cui la popolazione, sempre in fuga, trova momentaneo riparo da un perenne conflitto combattuto con machete e fucili. Con questa serie e questa tecnologia, Richard Mosse vuole scardinare i criteri rappresentativi della fotografia di guerra.

Con l’imponente videoinstallazione in sei parti The Enclave, progetto gemello di Infra, Richard Mosse svela il contrasto tra la magnifica natura della foresta della Repubblica Democratica del Congo e la violenza dei soldati dell’esercito e dei ribelli. Tra l’erba alta e nella rigogliosa boscaglia si susseguono azioni militari, addestramenti e scontri tra i combattenti. I rumori, al pari delle immagini, sono intensi e aggressivi, quasi dolorosi, dopo la carrellata della telecamera sui soldati uccisi. I suoni diventano poi melodie e lasciano spazio ad un paesaggio ridente, aperto e calmo. Il fotografo e regista, accompagnato dall’operatore Trevor Tweeten e dal compositore Ben Frost, ha realizzato The Enclave per il Padiglione Irlandese alla 55° edizione della Biennale di Venezia nel 2013, ispirandosi al celebre romanzo Cuore di tenebra di Joseph Conrad.

 

© Richard Mosse - Platon, eastern Democratic Republic of Congo, 2012. Collection Jack Shainman
© Richard Mosse – Platon, eastern Democratic Republic of Congo, 2012. Collection Jack Shainman. Fattoria vicino a Bihambwe, territorio di Masisi, Kivu Nord. Questi pascoli meravigliosi sono oggetto di uno scontro senza quartiere nell’ambito di un conflitto territoriale che non accenna a cessare. Già appartenenti a tribù congolesi indigene che vivono di agricoltura e caccia, queste terre sono state espropriate da milizie costituite da esponenti di tribù pastorizie come i tutsi provenienti dal vicino Ruanda, che hanno abbattuto le foreste primordiali per ricavare pascoli per le loro greggi. Le popolazioni locali sono state private delle loro proprietà con l’intimidazione e la violazione dei diritti umani. La valle è stata teatro di recenti scontri che hanno coinvolto gruppi armati quali M23, Nyatura, APCLS, Raiya Mutomboki, saccheggi ed estorsioni da parte dell’esercito nazionale congolese (FARDC).

Heat Maps (MAST.Gallery Foyer) e Incoming (Livello 0) – Dal 2014 al 2018 Mosse si è concentrato sulla migrazione di massa e sulle tensioni causate dalla dicotomia tra apertura e chiusura dei confini, tra compassione e rifiuto, cultura dell’accoglienza e rimpatrio.
Mosse si reca nei campi profughi Skaramagas in Grecia, Tel Sarhoun e Arsal a nord della valle della Beqa’ in Libano, i campi di Nizip I e Nizip II nella provincia di Gaziantep in Turchia, il campo profughi nell’area dell’ex aeroporto di Tempelhof a Berlino e molti altri.

Per Heat Maps e la video installazione Incoming, Mosse impiega una termocamera in grado di registrare le differenze di calore nell’intervallo degli infrarossi: invece di immortalare i riflessi della luce, registra le cosiddette “heat maps”, le mappe termiche. Si tratta di una tecnica militare nota sin dalla guerra di Corea che consente di “vedere” le figure umane fino a una distanza di trenta chilometri, di giorno come di notte. Le immagini sono apparentemente nitide, precise e ricche di contrasto. A un esame più attento, invece, non si riescono a distinguere i dettagli ma solo astrazioni: persone e oggetti sono riconoscibili solo come tipologie, nei loro movimenti o nei contorni, ma non nella loro individualità e unicità.

Incoming (2017) è un’installazione audiovisiva divisa in tre parti che utilizza la stessa tecnologia impiegata per la serie fotografica Heat Maps, la termografia a infrarosso. Richard Mosse, che ne è il regista e produttore, e il suo team – il direttore della fotografia Trevor Tweeten e il compositore e sound designer Ben Frost – hanno lavorato su tre scenari: nella prima parte, girata su una portaerei, sono ripresi i preparativi per il decollo di jet militari impegnati in operazioni di controllo dei cieli del Mediterraneo. Nella seconda parte, i protagonisti sono invece i migranti in arrivo su barconi sovraffollati, persone esauste e spesso ferite, che attendono soccorsi e, in alcuni casi, il riconoscimento post mortem. Infine, nella terza parte, i migranti sono alloggiati nei campi profughi, tra tende e capannoni, ripresi nella loro nuova e forzata quotidianità, bloccati nell’attesa di riprendere il loro lungo viaggio di speranza verso l’Europa centrale.

Per produrre il video wall del 2017 Grid (Moria), Richard Mosse si è recato più volte nell’arco di due anni nell’omonimo campo profughi sull’isola greca di Lesbo, un campo noto per le sue pessime condizioni. Le riprese sono state effettuate con termografia ad infrarosso (heat maps) e l’opera è costituita da 16 schermi che propongono lo stesso spezzone a diversi intervalli.
Ultra e Tristes Tropiques (MAST.Gallery Foyer). Tra il 2018 e il 2019, Mosse comincia a esplorare la foresta pluviale sudamericana dove per la prima volta concentra l’obiettivo sul macro e sul micro, spostando l’interesse di ricerca dai conflitti umani alle immagini della natura.

 

© Richard Mosse - Pool at Uday’s Palace, Salah-a-Din Province, Iraq, 2009 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York
© Richard Mosse – Pool at Uday’s Palace, Salah-a-Din Province, Iraq, 2009 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York. Truppe della Compagnia Alfa, Secondo Battaglione, 27° Fanteria “Wolfhounds” a riposo vicino alla piscina del palazzo di Uday Hussein, sulle montagne Jabal Makhoul, nella provincia di Salah-a-Din, Iraq centrale. Questa residenza estiva affacciata sulla valle del fiume Tigri è stata distrutta da bombe anti bunker JDAM americane all’inizio dell’invasione alleata dell’Iraq nel 2003, poiché si pensava che Saddam e il figlio potessero nascondersi in questa località remota. Noto per la sua crudeltà, Uday Hussein era il primogenito di Saddam.<

In Ultra, con la tecnica della fluorescenza UV, Mosse scandaglia il sottobosco, i licheni, i muschi, le orchidee, le piante carnivore e, alterando lo spettro cromatico, trasforma questi primi piani in uno spettacolo pirotecnico di colori fluorescenti e scintillanti. La biodiversità viene descritta minuziosamente tra proliferazione e parassitismo, tra voracità e convivenza, per mostrarci la ricchezza che rischiamo di perdere a causa dei cambiamenti climatici e dell’intervento dell’uomo.
Tristes Tropiques è la serie più recente di Richard Mosse: documenta con la precisione della tecnologia satellitare la distruzione dell’ecosistema ad opera dell’uomo. La tecnica fotografica utilizzata è ciò che l’artista e cartografo Denis Woods definisce “counter mapping”, una forma di cartografia di resistenza che grazie a fotografie ortografiche multispettrali mostra i danni ambientali difficilmente visibili dall’occhio umano.

Richard Mosse ha scattato queste fotografie di denuncia lungo “l’arco del fuoco”, nel Pantanal, il fronte di deforestazione di massa nell’Amazzonia brasiliana. I droni rilevano come in una mappa le tracce del fuoco che avanza lungo le radici delle foreste, gli effetti dell’allevamento intensivo, delle miniere illegali per l’estrazione di oro e minerali.

Ogni mappa di Tristes Tropiques mostra i delitti ambientali perpetrati su vasta scala, diventando per il fotografo un archivio che li documenta.
Il video Quick del 2010 completa le video-installazioni al Livello 0: è un filmato girato dallo stesso Richard Mosse che ricostruisce la genesi della sua ricerca e della sua pratica artistica attraverso i temi a lui cari come la circolazione del virus Ebola, la quarantena e l’isolamento, i conflitti e le migrazioni, muovendosi tra la Malesia e il Congo orientale.


– via: Art Vibes submission


Exhibition info: Richard Mosse – Displaced

When: 7 maggio 2021 – 19 settembre 2021.
Where: Fondazione MAST, via Speranza, 42 – Bologna.


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